OPERE

URBANO
di Livia Semerari

Sfogliando un immaginario catalogo del ritratto nel Novecento, una circostanza curiosa e una piccola scoperta possono sorprendere il lettore: gli autori dei più conosciuti ritratti non sono e non intendono essere professionisti del genere. Picasso, Modigliani, Matisse, Boccioni, De Chirico - solo per citarne alcuni - vivono il ritratto come difficoltà o pausa, quasi adagio creativo entro un'attività che mira a generi considerati superiori - la religione o la mitologia, la storia antica e quella contemporanea - e più conformi alla moderna autonomia dell'artista.
Il dibattito novecentesco sull' arte in generate, e sul ritratto in particolare, verte sull'ambigua collocazione di un genere esposto più di ogni altro. Qual è, allora la libertà che esso concede al pittore? Quale ruolo possono avere invenzione e fantasia nell'esecuzione di un quadro apprezzato, in primo luogo, per verosimiglianza e fedeltà al modello?

"Fra tutte le forme d'arte'' - osservava nell'ormai lontano 1846 Amaury Duval, il miglior allievo del grande Ingres, - "quella del ritratto è forse la più arida e più difficile: espone a giudizi severi e raramente è premiata dalla gloria".
L'esecuzione di un ritratto o comunque di una figura umana sembra inoltre sfidare l'autonomia dell'artista contemporaneo. Proprio dall' apparente inattualità del ritratto di figure umane nasce, pur tuttavia, la sua particolare seduzione per artisti con particolari preoccupazioni di stile, attratti dalle possibilità di provarsi nel genere che, più di ogni altro, sembra inibire invenzione e artificio. Se a ciò aggiungiamo la considerazione che il Novecento tutto e quello dei suoi primi decenni, in modo particolare è stato segnato dalle vicenda dell'arte astratta, che non è stata una mera tendenza dell'arte, ma un vero e proprio fenomeno della cultura, possiamo comprendere le difficoltà, i problemi che hanno dovuto affrontare, in piena battaglia antipassatista gli artisti che hanno praticato la pittura di ritratto o, comunque, quella di segno figurativo. Il semplice mestiere non è sufficiente per riscattare generi figurativi che si mantengono troppo vicini all'imitazione o, se si vuole, alla ripresa del modello.

Nell'opera di Urbano, artista formale e controllato, la produzione di figure umane conserva un senso privilegiato ed è sui volti delle figure ritratte che l'artista sembra sperimentare procedimenti di stilizzazione e di alterazioni nuovi. L'attenzione di Urbano non è esclusivamente formale: anche nei ritratti apparentemente più sobri e castigati si muovono, appena dissimulate sotto la superficie del dipinto, tensioni e inquietudini interiori.
L'atteggiamento dell'artista non è mai semplice: nei ritratti delle donne nei musici, tenerezza e persino commozione soffusa e contenuta sembrano intrecciarsi a una sorta di lontananza, persino nelle sue belle maternità.

Nei quadri di Urbano, la modella appare non avvedersi del pittore, il suo sguardo è adombrato e lontano in un atteggiamento di riflessione e il volto mostra un aspetto curiosamente giovane che la delicatezza della scriminatura e il taglio dei capelli accentuano.
Quadro dopo quadro, l'immagine è eseguita a una distanza ravvicinata e la donna è quasi violata, nella sua intimità, da un obiettivo dotato di zoom. Nella sua ricerca artistica Urbano sembra orientarsi in direzione di una maggiore arcaicità:la chiara geometria dei volti, divenute forme solide elementari e la impassibilità della modella contribuiscono a produrre l'effetto di distanza e quasi di algore.
Esaltata dall'equilibrio sacrale della composizione, una particolare intensità promana in tutti i ritratti di Urbano, basata su un'esigenza sempre più forte di solida plasticità e di ritmi armoniosi. Urbano dipinge giovani efebici plastici, musici con un tratto semplificato che mette in rilievo gli atteggiamenti calmi e i movimenti lenti e precisi. Nessuna gesticolazione eccessiva nella sua opera. Al contrario, una volontà di calma, di serenità arcaica che circola anche in un altro genere praticato largamente dall'artista, vale a dire la natura morta che egli a volte prende a soggetto unico di alcuni dipinti, altre coniugato alla pitture di figure.

"Natura morta", come è noto è l'espressione italiana che traduce l'antico olandese Still-Leven circolante sin dal 1650 negli studi degli artisti dei Paesi Bassi. Per i pittori olandesi Leven (vita o natura) voleva dire semplicemente ' modello ' o ' modelli viventi '; Still voleva dire 'immobile'. Still-Leven era dunque contrapposizione alla pittura di figure o di altri esseri animati, la pittura di ciò che non si muove. La critica moderna ha cercato di individuare origine, significati e motivazioni di un genere figurativo di cui, a ragione, si sono voluti trovare precedenti fin nella pittura antica
. La vitalità e la persistenza del genere sono confermati dall'interesse che per esso hanno avuto ancora i pittori del Novecento, da Cézanne a Van Gogh, a Matisse, Braque e Picasso, a ribadire che la natura morta, nell'età moderna, si è mossa in un ordine di ragioni e di interessi, i quali rappresentano il continuo mutare della coscienza umana e il loro ordinamento e compensazione dentro il quotidiano realizzarsi della vita.
Fra le due polarità della figurazione - figura umana e natura morta - che sopravvivono nell'età dell'astrazione, si attesta l'opera di Urbano.

Pittore delle citazioni, dichiarate o sottaciute - queste ultime tutte riconoscibilissime, Urbano ripropone una sua morfologia anche del colore: i transfert di immagini e le associazioni si riproducono in tutti i sensi - non è solo il suo potere pittorico che è in gioco, ma il suo potere di operare una metamorfosi sugli oggetti delle realtà - anche su quegli oggetti della realtà che sono i quadri dei musei.

Livia Semerari Docente di Storia dell'arte contemporanea nell'Università di Foggia